Numero 2(94)
Russia post sovietica e Europa: mai così distanti
Il rapporto fra la Russia e l’Unione Europea ricorda un circolo vizioso nel quale si alternano di continuo fasi di avvicinamento e allontanamento.
Per più di 40 anni, dalla fine della Seconda guerra mondiale e dalla conquista da parte dell’Unione Sovietica di una zona di influenza nell’Europa Est, questo rapporto è stato sempre caratterizzato da una certa diffidenza. Gli europei hanno sempre temuto “un’invasione dall’Est”, mentre i leader sovietici un’aggressione da parte delle truppe della Nato.
L’inzio della perestroika, i cambiamenti radicali che si sono verificati nell’URSS, lo smantellamento del regime totalitario hanno ravvicinato le due parti. Nella prima metà degli anni 90 pareva che quella famosa chimera dell’”Europa da Dublino a Vladivostok” smetesse di essere tale e si potesse trasformare in realtà. Ma purtroppo, chimera è rimasta. E di questo c’e da dire che sono colpevoli entrambe le parti, ancora perseguitate dalle fobie propagandistiche dei decenni precedenti. Per gli europei, la Russia non è cambiata abbastanza rapidamente ed ha conservato parecchie caratteristiche di uno Stato totalitario. E l’élite di governo russa ha sempre pensato che l’UE volutamente mettesse davanti alla Russia ostacoli invalicabili, cercando così di elminare un rivale, appoggiando i suoi nemici e mascherandosi dietro a belle frasi sulla salvaguardia dei diritti umani. Di conseguenza entrambe le parti, verso la fine degli anni 90, si sono ritrovate ad avere nei confronti dell’altra un atteggiamento sospettoso e accusatorio.
Poi è stato eletto Vladimir Putin, che da parte sua ha saputo coltivare l’immagine di un leader moderno e dinamico. E ciò ha comportato un nuovo miglioramento dei rapporti. I capi di governo dei Paesi europei più importanti sono diventati suoi amici personali. Le critiche nei confronti del trattamento della questione cecena da parte di Mosca si sono acquietate. Dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre l’UE aveva ipotizzato l’ingresso della Russia nell’UE, ecc. Ma la situazione - innegabilmente positiva - nascondeva già i germi dei futuri dissaccordi. Dopo avere constatato l’atteggiamento amichevole di Silvio Berlusconi, Jacque Chiracque, Gerhard Schroeder e Tony Blair, Vladimir Putin aveva concluso che, valendosi del loro aiuto avrebbe potuto risolvere qualsiasi problema nelle relazioni tra la Russia e l’Europa. Il leader russo e il suo entourage probabilmente non avevano tenuto conto del fatto che l’Unione Europea è un organismo assai complesso, e che quindi il tentativo di fare leva sulle personali amicizie con questo o quel singolo capo di governo non può e non potrà neanche in futuro garantire i risultati sperati, anche con tutta la buona volontà di entrambe le parti. La Russia poi non aveva calcolato il fatto che sono entrati a far parte dell’UE in seguito alla sua estensione alcuni Stati ex-alleati dell’URSS, che conservano ancora le loro fobie storiche nei confronti della Russia, e che devono essere trattati con molta cautela. Da parte loro infatti, questi “nuovi Stati europei” ritenevano e ritengono la Russia uno Stato neo-imperiale, la cui influenza bisogna respingere con la maggiore veemenza possibile. Di conseguenza, proprio questi Paesi hanno ospitato profughi ceceni, e proprio i politici polacchi e dei Paesi baltici hanno sollevato più spesso la questione relativa all’indipendenza della Cecenia. E Adam Rotfeld, il Ministro degli Esteri della Polonia ha definito l’omicidio di Aslan Maskhadov, il leader dei separatisti ceceni, “un errore politico”. A questi politici non viene in mente che all’”imperialismo” russo potrebbe succedere un islamismo aggressivo o magari la Cina.
I primi segnali di un’incrinatura nel rapporto tra la Russia e l’UE sono giunti nel 2003, quando è stato affrontato il problema del transito russo per Kaliningrad, enclave russa circondata dal territorio della Polonia e della Lituania. In seguito alle affermazioni poco ponderate di alcuni pubblici ufficiali russi, e soprattutto di Dimitri Rogozin, nazionalista, rappresentante speciale di Putin a Kaliningrad, le relazioni Russia-UE si sono fatte molto più difficili.
“Il caso della Yukos”, iniziato nel 2003, ha allontanato la Russia da tutta l’UE. L’opinione pubblica europea non ha potuto accettare l’atteggiamento negativo di Vladimir Putin nei confronti della salvaguardia dei diritti umani, nonché le persecuzioni che vengono dichiarate penali, ma che sono puramente politiche.
Le rinnovate critiche alla politica cecena di Vladimir Putin e le rivendicazioni inerenti la composizione politica del conflitto hanno irritato i “patriottici” dell’élite di governo russa, che hanno interpretato la cosa come un tentativo europeo di far pressioni sulla Russia usando come pretesto la violazione dei diritti umani. Ed ecco che Putin, nel suo discorso pronunciato dopo il mostruoso attentato terroristico di Beslan, si mette a parlare dei protettori stranieri dei terroristi che usano “due pesi e due misure”, e che cercano di svantaggiare la Russia.
Le divergenze sono diventate ancor più evidenti durante le elezioni presidenziali in Ucraina, dato che la Russia e l’Occidente hanno appoggiato candidati avversari. Quando la sconfitta di Viktor Yanukovich, supportato da Putin, si è profilata come inevitabile, e il trionfo della “rivoluzione arancione” imminente, i mass media russi hanno avanzato critiche feroci all’Occidente per aver aggredito subdolamente l’Ucraina. A subirne forse di più è stata la Polonia, il cui Presidente Kwasnevski è stato accusato da Putin stesso di essere stato “ingaggiato” dall’Occidente. Questo a seguito dell’affermazione del leader polacco: “la Russia senza Ucraina è meglio che la Russia con l’Ucraina”. In risposta alle recriminazioni russe, i polacchi hanno promosso all’interno dell’UE l’idea di finanziare la fase finale della costruzione dell’oleodotto Odessa-Brodi, che potrebbe far arrivare in Europa il petrolio del Mar Caspio, e che ridurrebbe la dipendenza dell’Est europeo dall’esportazione e dal transito del petrolio e del gas dalla Russia.
Un’altra prova della degenerazione dei rapporti è costituita dalla questione delle celebrazioni – imminenti - del 60-mo anniversario della vittoria sul nazismo. I Paesi dell’Est e dei Paesi Baltici infatti hanno sempre considerato l’occupazione ai tempi del nazismo come “un’occupazione doppia”, ovvero sia da parte della Germania che della Russia. Non intendendo peraltro sminuire il ruolo della Russia nella lotta a Hitler, i rappresentanti di governo di questi paesi (sulla base della loro visione dei fatti storici), hanno dichiarato di attendere da Mosca delle scuse ufficiali per il patto Moltov-Ribbentropp, per le rappresaglie di massa degli anni 40 e 50, ecc. Il governo russo l’ha preso come un insulto mostruoso, che non tiene conto del ruolo della Russia nella vittoria sul nazismo. Altra questione insorta è quella relativa allo sterminio di 14 mila prigionieri polacchi a Katyn. Aleksandr Savenkov, procuratore generale militare della Russia, ha riferito come le indagini svolte al riguardo non abbiano rilevato che si sia trattato di un genocidio. Naturalmente, i polacchi ci sono rimasti male.
Di conseguenza, siamo di fronte a un quadro di questo genere: nelle “cose dell’Est” in Europa s’impegnano principalmente i nuovi membri dell’UE, i quali hanno un atteggiamento ostile nei confronti della Russia. La Russia da parte sua non ha né strategia, né, forse, voglia di riconoscere nei suoi ex-vassalli dei partner paritari, il rapporto con i quali dev’essere costruito gradualmente nel tempo, con notevole impegno. E i tentativi di dialogo con l’Unione Europea senza prendere in considerazione i “nuovi europei” non fanno che impaurire e stizzire questi ultimi.
Inoltre, né “vecchi”, né “nuovi” europei ben accolgono quella “democrazia amministrata” o “speciale” che sta costruendo Vladimir Putin: essi temono che nel Paese stia rinascendo un regime totalitario.
Le strade che percorrono la Russia e l’Europa, quindi, divergono sempre più. Forse temporaneamente. Forse per sempre.
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