Numero 3(102)
MAGGIORANZA RISICATA PER L’UNIONE A PALAZZO MADAMA
I Senatori saranno 158 a 156
Maggioranza netta alla Camera dei Deputati, ma Senato praticamente ingovernabile, questo il risultato di una legge i cui risultati hanno superato ogni fantasia
Saranno 158 a 156 e sarà tutto difficile, molto difficile. Questi i numeri del Senato della Repubblica, frutto di una legge bizzarra che nemmeno il peggiore degli azzeccagarbugli di manzoniana memoria sarebbe riuscito a congegnare volontariamente sapendo in anticipo i risultati delle urne.
L’Unione esce dal voto con una forte maggioranza parlamentare alla Camera frutto di una irrisoria vittoria numerica visto che circa 25mila voti, pari allo 0,06% del corpo elettorale le hanno consegnato a Montecitorio un vantaggio di circa settanta Deputati. Al Senato, invece, la coalizione guidata da Romano Prodi è andata sotto di 300mila che però consegnano alla CdL un solo seggio di vantaggio, per di più ribaltato dall’incredibile esito della prima volta del voto degli Italiani all’estero.
La legge, che lo stesso ex Ministro delle Riforme, il leghista Roberto Calderoli, ospite in televisione ha definito “una porcata”, applica un proporzionale puro con premio di maggioranza: alla Camera un solo voto di distacco fra chi compete assegna al vincitore numeri parlamentari per poter governare. Ed e’ quello che è accaduto all’Unione. Al Senato nella stesura originale sarebbe avvenuto lo stesso, in maniera incontrovertibile, per la CdL Solo che al momento della promulgazione della legge i costituzionalisti obbiettarono che i Senatori è previsto siano eletti su base regionale: a scanso di rischi si decise pertanto di assegnare tanti premi di maggioranza quante sono le Regioni italiane. Risultato: alla Camera vantaggio esiguo del centrosinistra e maggioranza netta in aula, al Senato vittoia netta della CdL ma vantaggio esiguo di un solo seggio in aula. Poi il colpo di teatro; dopo che il Ministro per gli Italiani all’estero, l’aennino Mirko Tremaglia, si è speso per una vita affinchè fosse permesso di votare anche a chi risiede in altri Stati ecco che da quel voto arriva la doccia fredda: alla CdL va solo il seggio conquistato per la circoscrizione europea da Antonella Rebuzzi. Gli altri seggi vanno all’Unione, con l’incertezza del sudamericano di origini venete Luigi Pallaro che era dato vicino alla destra, ma che ha subito dichiarato che nell’interesse degli Italiani di Brasile e Argentina “non potrà fare opposizione”. L’Unione si ritroverebbe così in vantaggio anche nella Camera alta potendo tentare di varare un Governo con 158 Senatori contro 156, anzi, 157 contro 156 perché c’è da eleggere il Presidente che subentrerà al forzista Marcello Pera, e il Presidente non vota.
Dove trovare allora sostegno senza fare ‘campagne acquisti’? nei Senatori a vita. Chi sono questi? innanzitutto gli ex Presidenti della Repubblica, e quindi Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro e, teoricamente, l’ormai uscente Carlo Azeglio Ciampi. Oltre a loro politici navigati quali Giulio Andreotti, Emilio Colombo e Giorgio Napolitano, e nomi insigni della scienza quale è indiscutibilmente Rita Levi Montalcini e dell’industria come Sergio Pininfarina. I Senatori a vita di solito non votano, ma si sa che Scalfaro è organico alla Margherita, e ancor di più lo è Napolitano ai DS. Colombo dovrebbe votare a sinistra, Andreotti ha già detto di aver votato AN, Cossiga -che ha invitato i colleghi a non prendere parte- ha detto che se troppi voteranno da una parte lui, per dispetto, “pur non avendo mai votato Berlusconi” questa volta lo farà! E così il vantaggio salirebbe da due a tre. Se poi Pininfarina e Montalcini, che mai hanno votato, si schierassero, si potrebbe arrivare ad un vantaggio massimo di cinque se entrambi andassero a finire in area Unione. E per guadagnare un punto che si pensano gli strateghi del centrosinistra? Eleggiamo Presidente del Senato Giulio Andreotti, non ci sarebbe nulla di male, non si sottrarrebbe un voto alla coalizione, e lo si toglierebbe semmai agli avversari che hanno colto la palla al balzo e rilanciato: Andreotti spaginerebbe le carte, potrebbe essere una soluzione. Pare che Franco Marini, candidato in pectore, non abbia gradito. Già una volta aveva un accordo con Massimo D’Alema per diventare Presidente della Repubblica, se anche questa volta si dovesse vedere sfilare la poltrona è difficile immaginare il livello cui potrebbe salire la polemica, la sua ira, qualcuno ha detto potrebbe essere più pericolosa di una guerra in Iran! Il caso Fisichella, al passato, qualcosa insegna, e i numeri dell’Unione non consentono questi rischi.
Può un Governo, o governicchio come qualcuno ironizza, durare in queste condizioni? Silvio Berlusconi è stato lapidario: “questo Governo nasce morto, andrà in crisi sul Dpf, non avrà i numeri per rifinanziare la missione Nuova babilonia in Iraq, cadrà sulla Finanziaria”. Perfino l’autorevole quotidiano britannico ‘Financial Times’ avanza dubbi e perplessità, e certo non si tratta di foglio che in passato sia stato tenero con Silvio Berlusconi. Insomma, dalle urne è uscito quanto di peggio gli Italiani potessero augurarsi, non perché Romano Prodi abbia vinto, ma semplicemente perché né Romano Prodi né Silvio Berlusconi, né una coalizione né l’altra hanno vinto, ma nemmeno perso. Il paese è spaccato a metà come una mela: il 50% degli Italiani sta con l’Unione, il 50% con la CdL. Non solo, ma mentre in casi come quelli della contesa Bush-Kerry dove pure alla fine l’uno è risultato vincitore sull’altro per 300 voti riconteggiati infinite volte, qui siamo al paradosso stigmatizzato dal Presidente della Commissione Esteri della Camera Gustavo Selva “un conto è un voto un uomo, ma non è possibile che 25mila voti, o anche uno soltanto, facciano eleggere 70 Deputati” E questo quando, e lo ripetiamo, dieci volte tanti al Senato no, o che i quasi 100mila voti raccolti tra Veneto e Friuli Venezia Giulia da PNE Progetto NordEst, il partito autonomista fondato da Giorgio Panto, sempre in virtù di questi farraginosi meccanismi elettorali, abbiano prodotto zero parlamentari.
Riassumiamo, in legittimissima virtù delle regole vigenti 25mila voti valgono 70 Deputati, 300mila voti 1 Senatore, 100mila voti nessun parlamentare. C’è da credere che qualunque politologo mondiale di fronte a questo scarno riassunto avrebbe seri dubbi se quello in questione sia un paese civile e democratico o una ‘Repubblica delle banane’.
Sia come sia Prodi vuole andare in aula a presentare il suo Governo, ma nemmeno si sa chi dovrebbe affidargli l’incarico di formarlo. Questa è prerogativa del Quirinale, e Ciampi ha detto subito che sarà compito del suo successore, aggiungendo in un colloquio privato poi diventato articolo sul ‘Corriere della Sera’ “di non avere nessuna intenzione di accettare un altro mandato, perché sette anni sono lunghi, sette anni più sette sarebbero quasi una monarchia, e poi, per fortuna, l’anagrafe è dalla mia parte”. Troppo vecchio, insomma per pensare al 2013. Nemmeno il tempo di leggere che però un secco comunicato del Quirinale ha stigmatizzato la pubblicazione di quella che doveva essere una conversazione privata, antecedente le elezioni, quando le condizioni politiche erano diverse. Liberamentre tradotto dal politichese: Ciampi non esclude più di essere il primo Presidente Italiano ad avere un secondo mandato. Raccontando quel che si sussurra nei corridoi si narra che si sia anche cercato con lui un ‘gentlemen agreement’ per cui gli anni non sarebbe sette, ma un paio, quelli sufficienti a far uscire con l’onore delle armi Romano Prodi da Palazzo Chigi spalancargli le porte del Quirinale. Si potrebbe così dare il via ad un Governissimo di stampo tedesco di cui su queste pagine già abbiamo spiegato i cardini.
Prima alternativa, fantasiosa ma non troppo, candidare da subito Prodi al Quirinale.
Seconda alternativa, sostenuta da ‘il Giornale’, candidare a Presidente della Repubblica Berlusconi in modo da ottenere un’opposizione in aula meno che blanda.
Sia la prima che la seconda possibilità avrebbero un senso ma sono di complicatissima realizzazione. E non è più semplice nemmeno una terza di cui fra breve.
Prodi vuol governare, già una volta ci ha provato per poi cadere in Finanziaria per un solo voto di scarto negatogli dalla deputata veronese di PRC Tiziana Valpiana, in ordine alfabetico ultima a votare con le lacrime agli occhi la fine del primo Governo che avesse portato a governare in Italia gli ex comunisti. Un voto che Fausto Bertinotti pagò con la scissione di Cossutta che con un manipolo di ex di Rifondazione fondò il PdCI dando a Massimo D’Alema, isieme a quelli che Francesco Cossiga definì “gli Straccioni di Valmy”, i numeri necessari alla nascita del suo primo esecutivo.
Massimo D’Alema: il Presidente dei DS ora vorrebbe a Montecitorio, la poltrona che fu di Pierferdinando Casini. Patto di ferro con la Margherita e Marini, una Camera a testa ai due maggiori partiti della coalizione. C’è però un terzo incomodo: quel Fausto Bertinotti di cui sopra che ha detto che “no, alla Presidenza della Camera non potrei dire di no”, perché invece al Governo pare proprio abbia detto di no, sia per sé che per i suoi. L’unica carica per cui lui e PRC sarebbero in lizza sarebbe quella, e non ci sono compensazioni che tengano è stato precisato, negargliela, metterlo fuori dai giochi? senza i suoi Prodi va a casa prima ancora di aver fatto un fiato. E allora? Il Segretario DS Piero Fassino ha detto “mi sembra logico che i DS, numericamente il più importante partito dell’Unione, ha diritto ad una delle tre più alte cariche dello Stato”. Quindi o la Presidenza del Senato, e Marini? o la presidenza della Camera, e Bertinotti? o…. o… oppure… ebbene sì: Massimo D’Alema Presidente delle Repubblica. D’Alema che strizza l’occhio a Berlusconi, che aveva punti in comune con il Cavaliere di Arcore dei tempi della fallita Bicamerale, che non chiude a larghe intese su singoli provvedimenti nell’interesse del paese. Un ex comunista a Capo dello Stato? Sarebbe la quadratura del cerchio, ma se il metodo da tutti indicato deve essere il metodo Ciampi, del Presidente eletto con grandi intese, per D’Alema è difficile, molto difficile, quasi impossibile. E se al centro i Rutelli, i Follini, i Tremonti, gli stessi D’Alema e Berlusconi aprono spiragli di porte gli alleati degli uni come degli altri, da PRC alla Lega, dai Verdi ad AN, da una parte e dall’altra, barricano anche le finestre. Un grande centro farebbe fuori i fianchi dal governo presente e futuro del paese: ecco allora che da sinistra si grida “governiamo noi, senza aiuti” e da destra “governino loro, senza aiuti”.
I Presidenti di Camera e Senato saranno il primo atto dovuto della legislatura, e da lì si comincerà a capire. Anche perché Tremaglia ha rimescolato le carte dichiarando che uno dei Senatori eletti all’estero non voterà Prodi; che sia Pallaro? Ancora lui? Pare che se è certo che ha detto “nell’interesse dei miei elettori non posso fare opposizione” parrebbe abbia anche aggiunto che non potrà essere il suo il voto decisivo a far governare l’Unione.
Poi verrà l’elezione del Presidente della Repubblica che dovrà affidare l’incarico -verosimilmente a Prodi- per la formazione del nuovo Governo in cui i due Vicepremier, così come si era detto per Fini e Casini, dovrebbero essere Francesco Rutelli e Piero Fassino che senza avere Ministeri, così come accadde per Fini, continuerebbero a reggere le sorti dei rispettivi partiti. E questo con buona pace di Cossiga che aveva detto: “si può negare al pupillo del Cardinale Ruini, sì..come si chiama? Quello lì..Ru..Rutelli? ecco! Gli si può negare di fare il Ministro degli Interni? degli Esteri no, per quello sarebbe già meglio sua moglie, sarebbe più rappresentativa” (trattasi di Barbara Palombelli, giornalista, ndr).
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