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Numero 7(52)
Il KPRF fuori dalle commissioni parlamentari

    I comunisti (eccetto i gregari, certamente) sapevano sempre sistemarsi bene.
    Nonostante che i “rossi” siano ormai da 12 anni in opposizione al regime esistente, la maggior parte dei posti dirigenti e l’apparato della Duma di Stato appartenevano proprio ad essi, il che consentiva alla sinistra, oltre a combattere continuamente con gli altri “rami” del potere, silurando i progetti di legge del governo, di usare la Duma e le sue risorse importanti come il centro direttivo per le sue campagne elettorali. La distribuzione delle cariche nella Duma che esisteva fino a poco fa appariva una specie di anacronismo dell’anno 1993: mentre nella Duma attuale la maggioranza dei voti appartiene alle fazioni pro governo, in conformità agli accordi “a pacchetto” del 2000, i comunisti avevano non solo il posto del presidente, ma anche 10 posti dirigenti nei comitati della Duma. Cercando di correggere la situazione, i centristi e la destra, riunitisi, hanno cominciato la battaglia per la riconquista delle “vette” perse. Il primo colpo era mirato contro il dirigente dell’apparato della Duma, comunista Troskin, ma lui è stato difeso dal presidente Selezniov. Allora hanno spostato la mira verso lo stesso Selezniov e hanno quasi approvato il decreto sulla sua destituzione. Ma il colpo decisivo sulla sinistra è stato inflitto il 3 aprile. Con 251 voti favorevoli, 136 contrari e 7 astenuti, la Duma ha deciso di togliere alla fazione del Partito comunista della FR otto di dieci posti dirigenti che le appartenevano nei comitati e nelle commissioni. Ad altri due la fazione comunista ha rinunciato, in segno di protesta (riservandosi comunque due posti di vice presidenti della Duma). Ha rinunciato ai loro comitati anche il Gruppo agrario, alleato dei comunisti.
    Malgrado i deputati comunisti abbiano cercato di impedire alla maggioranza pro Cremlino di approvare il decreto sulla revisione degli accordi “a pacchetto”, la decisione è stata presa praticamente senza discussione. Secondo quanto ha comunicato il leader della fazione OVR (Patria-Tutta la Russia), Viaceslav Volodin, la decisione di togliere i portafogli ai comunisti è stata presa in modo consolidato da tutte le fazioni centriste, ed è stata realizzata. A sua detta, non valeva la pena di mandare per le lunghe le trattative. I comitati tolti sono stati divisi tra l’OVR, la SPS (Unione delle forze di destra), lo “Jabloko” e “Le Regioni della Russia”. In particolare, il comitato per la costruzione statale è stato capeggiato da Valeri Grebennikov (OVR), il comitato per questioni agrarie, da Gennadi Kulik (OVR), il comitato per il lavoro e la politica sociale, da Andrei Selivanov (SPS), e il comitato per la politica economica e l’imprenditoria è stato consegnato a Grigori Tomcin (SPS). Viktor Griscin (OVR) sarà responsabile per gli affari della Federazione e della politica regionale, il comitato per l’istruzione pubblica e per la scienza sarà diretto da Aleksandr Scislov (“Jabloko”). Il nuovo capo del comitato per l’industria e tecnologie avanzate è Martin Sciakkum (gruppo “Regioni della Russia”), un noto imprenditore. Hanno votato “sì” al relativo progetto del decreto 260 deputati, mentre per l’approvazione erano sufficienti 226 voti, 76 erano contrari, 2 si sono astenuti.
    I comunisti, per tutta risposta, hanno dichiarato di passare alla dura opposizione a Putin, di creare un “gabinetto ombra” e di essere intenzionati ad organizzare le manifestazioni di massa. Queste dichiarazioni non hanno fatto che suscitare il sorriso dei loro colleghi, senza fare alcun effetto: il Partito comunista della FR è famoso per saper fare dichiarazioni clamorose. La sinistra non può boicottare l’attività della Camera, dato che il Cremlino, dopo l’istituzione della nuova coalizione ha 298 voti garantiti, senza contare 21 deputati autonomi (ciò è sufficiente per approvare qualsiasi legge, anche costituzionale). Sembra che si sia deciso di non accorgersi dei comunisti, senza distruggerli però, per avere uno spauracchio da far vedere alla popolazione alle prossime elezioni. E proprio per questo, la proposta del deputato Fedulov che aveva presentato un progetto legge, mirato a vietare il Partito comunista e a fare causa al suo leader Ziuganov, per le sue affermazioni anticostituzionali, non è stata appoggiata; anzi, lui è stato escluso dalla fazione OVR, secondo la quale sarebbe lecito vietare solo i partiti fascisti e nazisti.
    Dopo questo, avere il controllo sull’apparato della Duma è stato più che facile. Il 4 aprile, il comitato per la procedura e per l’organizzazione della Camera bassa del Parlamento ha espresso la sfiducia a Troskin, il dirigente dell’apparato della Duma di Stato, Troskin. Già il giorno dopo, questi, realizzando che il presidente non aveva più intenzione di proteggerlo, è stato costretto a presentare la domanda di dimissioni. Il 9 aprile, la domanda di Troskin è stata firmata da Selezniov. E’ probabilissimo che la disfatta dello “stato maggiore” dei comunisti nella Duma sarà completa. Le perdite della sinistra sono enormi. Annualmente, il lavoro dell’apparato della Duma che era completamente controllato dal Partito comunista costa al budget statale 2 miliardi di rubli, equivalenti a 65 milioni di dollari. In un anno e mezzo che mancano alle nuove elezioni politiche, i comunisti potevano ottenere dal budget, in modo assolutamente legale, circa 100 milioni di dollari e usarli (seppure non tutta la cifra, ma la maggior parte di essa) per provvedere alla loro campagna elettorale. Il Cremlino voleva proprio questo: togliere soldi ai comunisti già alla partenza della corsa elettorale.
    E’ possibile, inoltre, che la pulizia dell’apparato della Duma e il cambio dei dirigenti dei comitati consentano di superare la resistenza accanita che si opponeva ad alcuni progetti del governo, mandando per le lunghe il loro esame. Del resto, qui si cela un rischio per i deputati. Il ritiro di massa dei comunisti membri dell’apparato potrebbe comportare la paralisi provvisoria dell’attività della Duma. Per quanto possa sembrare strano, i prossimi mesi diventeranno “periodo della verifica” anche per il governo federale. Ora i funzionari non potranno più giustificare la lentezza delle riforme con l’opposizione della Duma.
    In questa situazione, la lotta per il posto del presidente ha un diverso significato. L’hanno realizzato tutti, e, soprattutto, Ghennadi Selezniov, che non ha nessuna voglia di diventare un deputato qualsiasi. Di conseguenza, Selezniov ha rifiutato di eseguire la decisione del plenum del Comitato Centrale del Partito comunista che gli ha raccomandato di ritirarsi dal posto del presidente a maggioranza di voti (74 contro 15). Lo stesso Selezniov ha interpretato questa decisione di modo che gli sarebbe stato concesso il diritto di fare la scelta da solo: lasciare il posto del presidente o di rimanervi. Tale libertà d’interpretazione potrebbe contribuire alla scissione del Partito comunista.
    Ghennadi Ziuganov, leader dei comunisti, ha cercato di fare una buona figura dimostrando l’unità del partito: ha dichiarato che a Selezniov veramente fosse stata concessa la possibilità di fare una scelta. Ma lo stesso presidente della Duma ha detto che il suo proposito di istituire un proprio gruppo di centrosinistra non fosse “tolto dall’agenda”.

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