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Numero 2(47)
Nuova politica tariffaria

    Nella riunione di governo del 24 gennaio è stata finalmente presa la decisione, attesa da molto, sulle tariffe.
    Dal 15 febbraio saranno aumentate le tariffe del gas e dei trasporti di merci, e, dal 1 marzo, dell’energia elettrica. Il programma di aumento delle tariffe per tutto l’anno non è stato approvato, ma ciò non dovrebbe sorprendere nessuno: infatti, la preparazione della riunione dell’esecutivo assomigliava ad un vero e proprio giallo.
    Va ricordato che a settembre 2001 fu firmato un decreto del Presidente, in conformità al quale le competenze relative alla regolamentazione delle tariffe venivano assegnate all’Organo tariffario unitario (OTU), scaturito dalla Commissione energetica federale (CEF). Quando pertanto il 9 gennaio la direzione della CEF dichiarò l’aumento del 14% delle tariffe dei trasporti ferroviari delle merci e del 30% dei trasporti ferroviari dei passeggeri, tutti lo presero come decisione definitiva. Ugualmente serio è stato l’atteggiamento degli esperti anche verso le dichiarazioni circa l’aumento delle tariffe nel 2002. In conformità a questi programmi, le tariffe dell’energia elettrica dovevano aumentare complessivamente del 32% in un anno, e del 50% le tariffe del gas. Sebbene ciò contraddicesse il plafond dell’aumento delle tariffe, annunciato a dicembre, i rappresentanti della CEF spiegarono quella divergenza con il fatto che le loro proposte corrispondevano alla crescita delle tariffe del 35%, partendo dal confronto delle tariffe annuali medie.
    Tuttavia, le competenze della CEF rimangono abbastanza illusorie. Non passarono nemmeno due giorni dal momento in cui era stato annunciato il programma dell’aumento delle tariffe, che Mikhail Kassianov dichiarò la decisione di abolire la sentenza della CEF sull’aumento delle tariffe per il trasporto merci. Il premier spiegò la sua decisione con il fatto che a gennaio l’inflazione è risultata assai più alta delle previsioni del governo, avvicinandosi al 3% al mese. Ma di fatto la dichiarazione di Kassianov significava che alla direzione della CEF era stata abbassata la cresta e che in futuro essa avrebbe avuto solo il diritto formale di firma sotto le decisioni prese come compromesso con altri rappresentanti del governo. Tutti sanno che il ministro dello sviluppo economico e del commercio Gherman Gref è decisamente contrario al rapido aumento delle tariffe che comporterà un’inflazione più alta e non solo ridurrà il benessere del popolo, ma anche comprometterà la competitività della produzione industriale. Alla vigilia della riunione del governo, a favore di Gherman Gref si è pronunciato anche il consigliere economico del Presidente, Andrei Illarionov. Nell’articolo, pubblicato il 24 gennaio sul giornale “Vedomosti”, Illarionov scrive dell’inconsistenza dei quattro argomenti a favore dell’aumento delle tariffe. Del resto, anche le affermazioni di uno dei più importanti economisti russi possono essere messe in forse.
    Illarionov sostiene innanzitutto che “se si prende come punto di riferimento il periodo del 1992-1993 o gli ultimi due anni, viene fuori che le tariffe dei “monopoli naturali” son cresciute in anticipo su quanto era stato previsto”. Per questo, il consigliere del Presidente ritiene che non ci siano motivi sufficienti per aumentare i prezzi nei settori regolamentati dell’economia. Tuttavia, come argomento contrario, è possibile proporre di analizzare quanto i prezzi dei prodotti finali nel 1992-1993 fossero diversi da quelli giusti o di mercato, e quanto ne fossero diversi i prezzi delle risorse come il gas o l’energia elettrica. Non va dimenticato che nell’aprile del 1992 furono liberalizzati i prezzi dei prodotti finali, e l’inflazione, cioè l’aumento dei prezzi al consumo, arrivò, nel 1992, a circa il 2000%, mentre le tariffe del gas e dell’energia elettrica erano state congelate.
    Il secondo argomento di Illarionov è questo: i “monopoli naturali” spendono in modo inefficiente i mezzi monetari. Sebbene in dieci anni, a partire dal 1991, “il numero di tutti i lavoratori occupati si fosse ridotto del 13%”, nel settore dell’energia elettrica è, invece, “aumentato del 65%, nei trasporti è più che raddoppiato, nell’industria del gas è più che triplicato”. Nel contempo, coloro che seguirono attentamente lo sviluppo della situazione nei “monopoli naturali” fino al 1998, sanno bene che il notevole aumento del numero dei lavoratori occupati era stato prevalentemente motivato dall’acquisto di aziende non specializzate per i loro debiti con il loro conseguente inserimento nella struttura dei gruppi come la RAO EES o il Gazprom. In questo modo, l’aumento del numero dei lavoratori occupati nelle aziende avveniva contemporaneamente alla diversificazione delle holding in altri settori, in seguito ai mancati pagamenti e ai baratti che paralizzano l’economia.
    Il terzo argomento contro l’aumento delle tariffe è il fatto che “gli investimenti vengono usati dai monopolisti in modo meno efficiente che nella media dell’economia”. In conformità alla teoria economica, l’efficienza delle imprese pubbliche è veramente sempre più bassa, rispetto a quelle private. Nel contempo, ciò difficilmente potrebbe essere un motivo per non investire affatto.
    Per ultimo, però, Andrei Illarionov ha tenuto in serbo l’argomento più forte, che difficilmente può essere contestato. Il livello basso delle tariffe negli anni 1999-2000, secondo lui, avrebbe “contribuito al ripristino della crescita economica e alla crescita più rapida della produzione nei settori della trasformazione. L’aumento delle tariffe dopo il settembre 2000 ha comportato non solo il rallentamento dei ritmi generali della crescita economica, ma anche il cambiamento della struttura della produzione industriale a favore dei settori di materie prime”.
    Quest’argomento rispecchia tutto il dilemma dell’attuale potere russo. Se, da una parte, le tariffe del gas e dell’energia elettrica oggi sono quasi due volte più basse del prezzo giusto, e solo il loro aumento ridurrà l’attrattiva delle esportazioni e costringerà i monopolisti a fornire più prodotti al mercato interno, d’altra parte, in questo caso la domanda interna può ridursi notevolmente, e la voce principale di entrate dell’economia russa sarà quella delle esportazioni. Ciò potrebbe avvenire a causa della bancarotta dell’industria di trasformazione, che con i prezzi giusti dei carburanti perderà la sua competitività. Il governo, cioè, dovrebbe scegliere fra due concetti: il primo prevede l’aumento lento delle tariffe, che consentirà di mantenere nell’economia i settori non relativi alle materie prime e l’occupazione, ma sul piano a lungo termine comprometterà la base della crescita economica, dato che, con i prezzi attuali, i monopoli naturali non possono modernizzare la produzione. Seguendo il secondo concetto, l’esecutivo preferirà il rapido aumento delle tariffe, ma in questo caso potrebbe affrontare un calo profondo della domanda interna e un’alta disoccupazione già fra un anno o due. Certamente, questa situazione può essere risolta tramite un appoggio più attivo della piccola imprenditoria e della liberalizzazione della legislazione. Ma quasi sicuramente il gabinetto ha già fatto la scelta a favore delle trasformazioni più lente, il che è dimostrato, in effetti, dalla decisione governativa di gennaio sull’assai moderato aumento delle tariffe. Quindi, l’inflazione può rimanere al livello del 15% all’anno, i redditi reali della popolazione hanno cioè la chance di aumentare un po’ anche nel 2002. D’altra parte, ciò vuol dire che l’afflusso di investimenti stranieri rimarrà debole anche in quest’anno, perché i prezzi regolamentati per i servomezzi rappresentano il freno principale per gli investitori stranieri.
Evgenija Orlovskaja

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