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Numero 4(68)
La guerra del video per decidere la gestione della tv di stato
RAI, di tutto e di piu’…
Il dopo Baldassarre non e’ Mieli ma Annunziata


    E con Paolo Mieli pace poteva essere, anche se armata, ma così non fu, e venne la volta di Lucia Annunziata. La politica italiana, stanca di scontrarsi e confrontarsi sul suo terreno ha colto l’occasione al volo e in attesa di quella vera, in Iraq, ha fatto la guerra sulla RAI, la Televisione di Stato.
    Finita l’epoca Baldassarre, che era presidente dal 5 marzo del 2002, è cominciata una nuova stagione ricca di molte incertezze. Nominare il Consiglio di amministrazione della Rai è dovere e competenza dei Presidenti di Camera e Senato, e inizialmente i cinque componenti del CdA erano stati scelti su indicazione dei partiti: lo stesso Baldassarre, Albertoni e Staderini per la maggioranza, Zanda e Donzelli in rappresentanza delle forze di opposizione. E se nella logica delo gioco delle parti erano comprensibili le dimissioni dei due rappresentanti delle minoranze più singolare era parso ai più che altrettanto facesse Staderini, eletto nel CdA della RAI in quota UDC. Era nato così il CdA ironicamente ribattezzato “Smart” (dal nome dell’auto biposto, ndr) per il fatto di avere solo due componenti: il Presidente Antonio Baldassarre e il Consigliere Ettore Albertoni. I due, chiamati anche i “giapponesi”, erano difesi a spada tratta tanto da Umberto Bossi, Segretario Federale della Lega Nord e referente politico di Albertoni (che in Lombardia è Assessore Regionale proprio per quel partito), e da Gianfranco Fini, Presidente di Alleanza Nazionale. Così se da una parte l’UDC chiedeva l’azzeramento del CdA dall’altra parte i partiti del Ministro per le Riforme e del Vicepresidente del Consiglio sostenevano la legittimità ad operare dei due superstiti Consiglieri. Un po’ nell’imbarazzo, invece, Foraza Italia costretta a dover mediare fra le diverse posizioni degli alleati; tutto è crollato quando Baldassarre e Albertoni hanno deciso il trasferimento della seconda rete da Roma a Milano.
    La decisione, presa il 20 febbraio scorso (non è chiaro con quali e quanti avvalli) ha fatto infuriare Fini che ha tolto ai due il proprio appoggio, al punto che AN si era dichiarata disponibile a votare con l’opposizione una mozione di sfiducia in Commissione di Vigilanza; l’unico organismo in grado di poter sfiduciare e far cadere un CdA comunque legittimamente in carica. Se ciò fosse avvenuto UDC e AN avrebbero votato con l’Ulivo e contro la Lega che, a quel punto, aveva minacciato di uscire dal Governo. Febbrile quindi il lavoro di ricucitura conclusosi a Palazzo Grazioli, abitazione privata di Silvio Berlusconi a Roma, con le faticose e complicate dimissioni dei due e la necessità quindi di varare un nuovo CdA. La prima ipotetica composizione venne però proditoriamente resa pubblica in un talk-show televisivo in onda sulla maggiore emittente privata (Canale 5) e alla presenza del Ministro per le Comunicazioni Maurizio Gasparri. Il conduttore fa i nomi di Mario Resca, ipotetico Presidente, Albino Longhi, Piervincenzo Porcacchia, Marcello del Bosco, Massimo Magliaro con il leghista Massimo Ferrario alla Direzione Generale; il Ministro si affretta a dire che sono solo congetture dell’anchor-man ma la frittata ormai è fatta. E’ ovvio che Casini e Pera, pur avendo formalmente piena libertà d’azione, agiscono di concerto con i propri partiti, senza contare che lo stesso Casini ha lasciato la guida del proprio nelle mani di Follini al momento di assumere la Presidenza di Montecitorio. A Palazzo Grazioli con Berlusconi c’erano infatti lo stesso Follini, e con loro Bossi e Fini. Comunque sia, bruciata e azzerata la prima cinquina, la discussione si è spostata sulle formule, quasi calcistiche, sulla composizione del nuovo CdA : “3 + 2” o “4 + 1”? Ossia tre Consiglieri alla maggioranza e due all’opposizione com’era prima e come è sempre stato oppure quattro alla maggioranza e solo uno all’opposizione? Questa seconda versione è stata quindi sviluppata da Pera e Casini proponendo che quell’uno, però, fosse anche Presidente. Ecco allora che, dopo Resca, Presidente di McDonald’s; dopo Enzo Cheli, Presidente dell’Authority sulle Telecomunicazioni; fra i papabili compare perfino il nome di Barbara Palombelli, giornalista e moglie di Francesco Rutelli, Presidente della Margherita e leader dell’Ulivo. Alla fine, in una rosa di tre nomi proposta dal centrosinistra, a spuntarla su Umberto Eco e Fabiano Fabiani è l’ex Direttore de “il Corriere della Sera” Paolo Mieli, e con lui in Consiglio di Amministrazione vengono nominati il saociologo Francesco Alberoni, il giornalista Marcello Veneziani, Giorgio Rumi e Angelo Maria Petroni.
    Pace armata però, provvisoria, instabile ed effimera quella trovata sul nome di Mieli. Il neo-Presidente incaricato si presenta dicendo che è un suo impegno personale “riportare in video in prima serata Enzo Biagi e Michele Santoro”, ossia i nomi dei giornalisti su cui si era inasprito il dibattito politico in seguito alle decisioni prese dalla precedente gestione che li aveva allontanati dal video per il tipo di televisione giudicata troppo di parte avuta sotto la Presidenza di Roberto Zaccaria ai tempi dei governi di centrosinistra. Avuto notizia di queste dichiarazioni Biagi disse “ringrazio Mieli, sono felice di lavorare con lui, e mi dirà cosa devo fare, a che ora e quando. Non è un capo improvvisato, e sa che si vince quando ognuno fa la sua parte”. Santoro, invece, si disse sì “pronto a rientrare anche subito”, aggiungendo però che avrebbe accettato solo “ragionamenti editoriali e non diktat”. Risultato? Follini, segretario dell’UDC che tanto si era adoperato per la caduta del duo Baldassarre-Albertoni, commentando le dichiarazioni di Santoro si vide costretto a ricordare come “Santoro non sia Matteotti, e Berlusconi non sia Mussolini, e quando Santoro tornerà in video non sarà certo lo sbarco in Normandia!”. E lui? Mieli? Non aveva ancora nemmeno sciolto la riserva sull’accettazione dell’incarico che si ritrovava con le pareti della sede RAI di Milano imbrattate con frasi di chiara matrice antisemita ingiuriose nei suoi confronti eche lo stesso Mieli definiva “pessimi segnali”. Il bello, però, doveva ancora arrivare, il Presidente in pectore chiedeva infatti anche mano pressocchè libera sul nome del nuovo Direttore Generale ed un appannaggio annuo cinque volte superiore a quello del suo predecessore. Tali e tante condizioni da lasciare sbalorditi i partiti di Governo, e tali e tante difficoltà che alla fine lo stesso Mieli si è fatto da parte.
    Quella che sembrava una situazione senza uscita, con tempi probabilmente lunghi prima di una soluzione si è sbloccata all’improvviso quando, a 24 ore dal “no grazie” di Mieli dal cappello a cilindro di Pera e Casini è spuntato il nome di Lucia Annunziata, già Direttore del Telegiornale di una delle tre reti statali dal 1996 al 1998. E che Annunziata non se lo aspettasse lo dimostra il fatto che l’offerta la ha bloccata con un piede praticamente già sulla scaletta dell’aereo che la avrebbe portata a Baghdad a coordinare i servizi della agenzia di stampa ApBiscom. Così, dopo il pensa che ti ripensa di Mieli, è arrivata l’immediata risposta di Annunziata. Un sì senza riserve e senza condizioni che ha letteralmente spiazzato l’Ulivo. Lucia Annunziata, infatti, è giornalista con chiare e mai nascoste idee di sinistra, impossibile per le forze di opposizione sconfessarne il valore pur dovendo sottolineare che non la avevano né scelta né proposta. Il loro vero candidato non era neppure Mieli, e forse lui stesso ha fatto di tutto per farsi dire di no, ma Fabiano Fabiani, un nome che però, per Berlusconi, era “un’offesa personale”. Certo, se la crisi RAI fosse proseguita a suon di inconcludenti consultazioni, se dopo Mieli magari anche Rumi si fosse fatto da parte come aveva ventilato, si sarebbe aperta una crisi senza uscita; difficile al punto che forse Mieli avrebbe avuto tutto quello che chiedeva e anche di più e sarebbe stato visto come il salvatore della patria. La mossa dei Presidenti di Camera e Senato, coscienti anche del ruolo dell’informazione pubblica alle soglie di un conflitto come quello iracheno, ha invece spiazzato tutti. La RAI ha ora come Presidente una donna per la seconda volta dopo l’esperienza di Letizia Moratti, ha l’appoggio incondizionato del cosiddetto “Branco rosa” (il “Branco rosa” è una lobby trasversale di parlamentari di tutti i partiti che ha come obbiettivo la valorizzazione dell’universo femminile a livello dirigenziale), il plauso di praticamente l’intera maggioranza, la soddisfazione (anche se a denti stretti) del centrosinistra, e un Consiglio di Amministrazione dove quattro voti su cinque -Annunziata esclusa- sono di area governativa. Tutti contenti dunque? Nemmeno per sogno: pace armata era e pace armata rimane, i sorrisi, è evidente, sono solo di facciata.

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