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Numero 5(69)
Intervista al Presidente del Gruppo dei Deputati DS
A proposito di Irak, USA e Palestina
A tu per tu con Violante


    61 anni, etiope di nascita -avendo visto la luce a Dire-Daua- ma piemontese di adozione, parlamentare dal 1979, Luciano Violante è stato prima Magistrato, duramente impegnato contro la mafia, al punto di essere poi uno degli uomini più scortati d’Italia, quindi nella scorsa legislatura Presidente della Camera dei Deputati e oggi Presidente del Gruppo DS a Montecitorio.
    - Presidente, cosa ne pensa del conflitto USA - Irak?
    - Questa guerra, per il modo in cui è nata, per il luogo in cui si è svolta, per il modo in cui è stata condotta, per la sua conclusione, darà vita ad un nuovo ordine internazionale. Si sono divise l’ONU, la Nato e l’UE. Si è lacerato il rapporto tra Occidente e Islam. Si potrebbero costituire assi nuovi: per esempio tra gli USA ed alcuni dei paesi che aderiranno all’UE, perfino scavalcando quello fino ad ora preferenziale fra USA e Gran Bretagna perché questi Stati potrebbero ritenere di avere una fonte di legittimazione maggiore dagli USA rispetto alla stessa UE. Questo deve farci comprendere che l’autonomia dell’Europa dagli Stati - - Uniti non è per tutti un valore superiore.
    Lei ci vede una strategia che va oltre il conflitto armato con l’Irak?
    - La guerra all’Irak e l’accantonamento delle Nazioni Unite al fine di ridisegnare la mappa del mondo attorno agli USA, unica potenza globale, era un progetto messo a punto sin dal 1997 da uomini come Cheney, Rumsfeld, Rodman, Perle che oggi occupano livelli elevati di responsabilità nell’amministrazione Bush: vicepresidente degli USA, Ministro della Difesa, consiglieri particolari… Clinton, da Presidente, rigettò quel disegno, con la vittoria repubblicana quel piano è invece diventato la strada maestra della politica estera americana.
    - Che scenari potrebbero verificarsi?
    - Che le guerre preventive diventino un modo nuovo di dirimere le controversie internazionali. Che non ci sia più possibilità di dialogo pacifico tra Occidente ed Oriente. Che si crei un nuovo bipolarismo asimmetrico ed incontrollabile: da un lato gli Stati Uniti con i loro alleati, dall’altro il terrorismo internazionale con il suo sforzo di presentarsi come vendicatore dei popoli oppressi.
    - La pace?
    - La pace non è soltanto assenza di guerra, vuol dire giustizia sociale tra i popoli. La pace significa richiamare le responsabilità ed il ruolo delle Nazioni Unite; significa, come ha detto Blair, una giusta soluzione del conflitto fra israeliani e palestinesi; significa che la vicenda irakena non si può concludere con un governatorato militare americano, un’umiliazione coloniale per tutti i popoli arabi che alimenterebbe nuova violenza e nuovo terrorismo. Vorrei aggiungere che essere critici con Sharon è persino doveroso, ma il giudizio su quel Governo non può alimentare alcuna forma di antisemitismo. Questo è un muro invalicabile nella nostra concezione della libertà: perché quando è stato invece valicato, ed in Europa nei secoli è avvenuto innumerevoli volte, la tragedia della violenza e della vergogna è esplosa irreparabilmente.
    - L’economia c’entra in tutto questo?
    - La guerra all’Irak è stato anche il tentativo degli USA di riprendere nelle mani una centralità che stava venendo meno sul terreno del modello economico. Sappiamo che il mercato ha in sé valori che vanno difesi ed incrementati; ma sappiamo anche che bisogna piegare il mercato ai valori della persona e non viceversa. La guerra ha fatto risorgere l’antiamericanismo. Non parlo della contrarietà al Governo Bush, che è un’altra cosa; parlo della demonizzazione dei valori, della bandiera di quel paese.
    - Il rapporto con gli USA si è forse rotto? incrinato?
    - Gli USA non sono stati moderati, ma è anche giusto ricordare che siamo salvi dal nazifascismo anche per le migliaia di soldati americani morti in Europa. Per tale ragione sono un paese amico.

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