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Numero 8(99)
Unione Europea: la calma dopo la tempesta

    Con l’inizio dell’autunno sembra che l’Unione Europea sia tornata alla consueta tranquillità, dopo i trascorsi burrascosi dell’estate. Il grande processo di ratificazione della Costituzione Europea è fallito sotto il peso dei voti contrari di francesi e olandesi, e i membri dell’Unione non sono riusciti a trovare un accordo sul bilancio non solo del 2006, ma nemmeno degli anni 2007-2013, sui quali contavano molto i nuovi Stati membri della comunità.
    Probabilmente, a qualcuno questa calma piace. Infatti l’UE ha la beata capacità di tirare all’infinito ogni questione e all’ultimo momento trovare una soluzione di compromesso – dopo che i media hanno già profetizzato la fine dell’Europa Unita. Tuttavia sono in molti questa a volta a mettere in guardia sul fatto che si tratti di una crisi seria, e il prolungato silenzio a Bruxelles e a Londra, che è a capo dell’Unione fino alla fine dell’anno potrebbe significare che il problema attuale non si presta a facili soluzioni.
    A suo tempo in Europa era popolare la metafora della bicicletta, che rappresentava l’interazione europea. Bisogna pedalare, se vi fermate cadete, e tutto il progetto di Jean Monnet fallisce. Pochi sono quelli che adesso parlano di ulteriore interazione. Molti invece ritengono che si sia spinta troppo oltre.
    Le questioni “scottanti” nell’UE. Bisogna rendere omaggio alla tranquillità dei politici europei. Per esempio, alla domanda posta dal nostro giornale sull’effettiva necessità per l’Europa e soprattutto per gli inglesi di una Costituzione Europea, l’Ambasciatore della Gran Bretagna in Russia ha risposto quanto segue: “I leader degli Stati membri dell’UE hanno già approvato il progetto della Costituzione. Ma la Gran Bretagna, come altri Paesi ha deciso di sottoporla a referendum”. Sia i francesi che gli olandesi ai referendum hanno votato contro. Ora l’UE ha deciso di prendersi una pausa di riflessione, prima di ricominciare ad esaminare la questione. La “riflessione” sull’Eurocostituzione ora coinvolge tutti. Ma di soluzioni definitive ancora non se ne vede l’ombra.
    Alcuni esperti stranieri sono inclini a paragonare l’UE attuale a un pullover di lana che si è smagliato. Se non si corre ai ripari subito, tutto il maglione potrebbe disfarsi e ritrasformarsi in un mucchio di lana, sparendo.
    Uno di quei fili è il “Patto di Stabilità e Sviluppo”, sottoscritto per evitare deficit di bilancio nei Paesi della zona dell’euro, ma violato impunemente da Germania e Francia. Questo fatto dà la sensazione ai membri più piccoli che esista una legge “su misura” per i Paesi più grandi. Un altro filo saltato, certo più corto, è quello della moneta unica, quando gli italiani hanno iniziato a lamentarsene in quanto condizione del loro ingresso nell’Unione, mentre “tories” inglesi orientati favorevolmente all’UE come il Ministro delle Finanze Kenneth Clark hanno chiamato l’euro “un’idea poco brillante”. È chiaro che cose di questo genere non hanno un seguito positivo.
    E infine, gli ultimi fili a saltare sono stati i referendum sulla Costituzione, che si sono trasformati, secondo quanto è scritto nel rapporto del Centro di studi internazionali e strategici, in un plebiscito sulla “legittimità dell’UE e dell’appartenenza ad essa”. Questo pensiero riflette efficacemente la sostanza di quanto sta accadendo in questo momento. E naturalmente insorge spotanea la domanda: perché nessuno si affretta a correggere la situazione? Sembra che la dirigenza dell’Unione sia pronta a rimandare i dibattiti riguardanti tutti questi temi, perlomeno fino alle prossime elezioni francesi del 2007, come hanno dato ad intendere gli austriaci, ai quali toccherà la presidenza dell’Ue nel primo semestre del prossimo anno.
    L’ultimo filo “smagliato” dell’economia dell’Eurozona è da considerarsi la divisione fra i Paesi dell’Unione Europea per la questione del bilancio UE per il 2006 (tutto il bilancio dell’UE costituisce all’incirca l’1% del PIL dell’Unione). 15 ore di trattative, che hanno visto impegnati i rappresentanti dell’Europarlamento e dei Governi dei Paesi dell’Unione Europea si sono concluse in un nulla di fatto, fondamentalmente per il caparbio rifiuto da parte degli Stati ricchi, come per esempio la Gran Bretagna, di sovvenzionare i Paesi membri più poveri.
    Anche l’incontro avvenuto giorni fa tra i Ministri dell’Economia e delle Finanze dell’UE, al quale gli esponenti avrebbero dovuto arrivare ad un compromesso su alcuni dei punti del progetto inglese di bilancio dell’Unione Europea per il 2007-2013 non ha risolto nulla. I Ministri hanno preso a discutere sulla questione dell’IVA nella sfera dei servizi. Come risultato, decidendo di rimandare l’argomento al summit UE del 15-16 dicembre, i ministri hanno tirato un altro colpo basso al summit già traballante, l’esito costruttivo del quale sembra inverosimile anche ai più ottimisti.
    Ricordiamo al lettore che il piano di bilancio UE per gli anni 2007-2013 proposto giorni fa da Londra, in base al quale i fondi di sostegno ai nuovi membri poveri si debbano ridurre del 10% (e in concomitanza si debbano aumentare i sussidi agli agricoltori, il sostegno all’agricoltura e il finanziamento dell’amministrazione dell’UE) ha scatenato una marea di proteste tra la maggioranza dei Paesi membri. Il vertice dei Ministri delle Finanze e dell’Economia dell’Unione Europea, in sostanza, doveva assolutamente condurre a qualche compromesso. Ma i partecipanti si sono puniti da soli, non riuscendo a raggiungere un accordo sulla percentuale di IVA per ogni membro UE.
    Adesso le spese dell’Unione Europea per il 70% vengono finanziate dai bilanci nazionali, e il massimo versabile da parte dei Paesi membri è stato fissato al livello dell’1,24% del PIL. I più grandi finanziatori - l’Inghilterra, la Francia, la Germania, la Svezia, l’Olanda e l’Austria – chiedono un abbassamento di questo “tetto” all’1%.
    I Paesi che ricevono aiuto dall’UE, in parte la Spagna e i nuovi membri dell’UE, al contrario, chiedono un aumento di tale valore. Appoggia le loro richieste la Commissione Europea, l’organo esecutivo dell’UE. Rendono faticosa la ricerca del compromesso i bassi indici di crescita economica, che continuano a rimanere inferiori a quelli americani.
    Tuttavia si registrano dei problemi ancora più seri per quanto riguarda l’approvazione del piano delle spese per il 2007-2013. Tony Blair – il Premier della Gran Bretagna la quale ora è presidente dell’UE – ha bloccato la proposta della Francia sulle sovvenzioni agrarie. L’attuazione della proposta del Presidente Jacques Chirac comporterebbe una spesa pari al 40% di tutto il bilancio per i prossimi 7 anni. Il Presidente dell’Eurocommissione Jose Barroso ha dichiarato questa settimana che la caparbietà della Gran Bretagna in materia di sussidi agrari mette in pericolo non solo il bilancio, ma lo stesso futuro dell’UE.
    Come risultato ai partecipanti alle trattative sono rimaste 3 settimane per raggiungere un accordo. Per il 15 dicembre è fissata la votazione inerente il bilancio all’Europarlamento. Un ennesimo fallimento delle trattative potrebbe comportare l’adozione per il 2006 ancora del bilancio di quest’anno. E ciò potrebbe lasciare i nuovi progetti dell’UE pianificati per il 2006 senza finanziamenti.
    Fatti di questo genere allarmano e preoccupano non solo gli Stati membri “vecchi”, ma anche quelli nuovi, usciti (ad eccezione di Slovenia, Cipro e Malta) dall’ex Unione Sovietica o dalla sua influenza. In parte le preoccupazioni sono legate alle aspettative che avevano questi ultimi, richiedendo di entrare a far parte dell’UE, di fare il loro ingresso in un’organizzazione efficiente ed equilibrate, pronta – se assecondata nelle proprie richieste normative – a condividere con loro quanto conquistato.
    Secondo l’opinione di eminenti esperti russi, i problemi dell’UE sono legati in maniera consistente all’incapacità da parte dell’Unione di gestire le difficoltà reali ed impreviste del processo di ampliamento, le conseguenze delle quali toccano a proposito anche la Russia. Qualcuno può dire che il “no” dei francesi e degli olandesi sia una reazione a scoppio ritardato dell’ultimo allargamento dell’UE avvenuto nel 2004. Ma una reazione di questo tipo dimostra che la società europea occidentale da un lato si è dimenticata il motivo per il quale è stata costituita l’Unione. Come ha ammesso dopo il referendum il parlamentare olandese Lousewies van der Laan (uno dei leader della campagna a favore della Costituzione nel suo Paese), i suoi alleati non sono riusciti a pensare neanche ad uno slogan brillante per convincere gli elettori della necessità della costituzione dell’UE.
    Dall’altro lato la popolazione dell’Europa Occidentale teme che l’arrivo dei nuovi membri, dietro ai quali aspettano in fila Bulgaria, Romania, Turchia e Paesi Balcanici comporti per loro un ulteriore peso finanziario e dei cambiamenti nel loro tradizionale stile di vita.
    Per contrasto, per i nuovi Stati membri la ragione fondamentale dell’ingresso nell’Unione era il calcolo della stabilizzazione delle proprie strutture sociali, grazie alla quale avrebbero potuto recuperare il tempo perduto dopo la Seconda Guerra mondiale, periodo durante il quale l’economia degli Stati post-sovietici era stata assoggettata al regime sovietico della Guerra fredda. L’UE rappresenta per loro la possibilità di ritornare in seno ad una “comunità occidentale” di Stati liberi, stabili e prosperanti. L’Unione Europea è nata per garantire la sicurezza della propria popolazione dopo tutte le avventure del secolo scorso. E la parte occidentale dell’UE, che fino al 1989 aveva vissuto fuori da ogni pericolo grazie alla suddivisione del mondo all’epoca della Guerra fredda dovrebbe rendersi conto del fatto che il resto del continente considera l’UE come un garante fondamentale di stabilità (anche se “relativa”) per i nuovi membri dell’Unione e per i loro vicini. Proprio questo segnale hanno inviato all’UE i Parlamenti dei nuovi Stati membri, affrettandosi a ratificare il progetto della Costituzione. Solamente in Repubblica Ceca il risultato del referendum, che all’inizio era stato pianificato per il 2006 appare dubbio.
    In Polonia la probabilità che l’Accordo venga approvato in caso di referendum non lascia alcun dubbio. Al summit di giugno del 2005 il Premier polacco Marek Belka, sostenuto dal resto dei Paesi della “Nuova Europa”, aveva proposto di ridurre il volume delle loro richieste in termini di bilancio, se questo avesse potuto permettere di accordarsi senza indugi sull’allargamento dell’Unione.
    La speranza è l’ultima a morire. A parte tutto ciò, secondo gli esperti europei, la speranza, anche parziale di ricostruire l’economia dell’Europa c’è. Ad esempio, all’inizio di dicembre la Banca Centrale Europea, per la prima volta in 5 anni ha alzato il tasso di sconto fino al 2,25% annuale. Il presidente della banca, Jean Claud Trichet ha dichiarato il consiglio della banca disposto ad “alzare moderatamente” il tasso di sconto ufficiale nonostante la BCE continuerà a seguire la politica dei tassi bassi allo scopo di sostenere la crescita economica in Europa.
    La maggioranza degli esperti ritiene che la decisione di alzare il tasso di sconto testimoni l’inizio della crescita economica europea. “Se la banca stessa ritiene assolutamente indispensabile innalzare il tasso, questo a mia opinione potrebbe significare una certa sicurezza in merito al fatto che l’economia dell’UE vada pian piano ricostruendosi”, - ha detto il Primo Ministro del Lussemburgo Jean Claud Junker, presidente del Consiglio dei Ministri delle Finanze dei Paesi dell’eurozona. Tuttavia, non tutti condividono quest’opinione. L’economista della Barclays Capital James Nixon, per esempio, che ha lavorato per qualche tempo come analista alla BCE, ritiene che la questione non vada affrontata frettolosamente: “Esiste un consistente rischio. Se la BCE cambia il tasso troppo in fretta, ciò distruggerà tutta la crescita economica e per l’Europa sarà la catastrofe”. Neanche il Ministro delle Finanze austriaco Karl Heinz Grasser vede un motivo per innalzare i tassi. Contro questa decisione si è espressa anche l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Il momento più opportuno per l’innalzamento dei tassi sarebbe arrivato secondo gli esperti dell’OCSE non prima dell’autunno del 2006. I Paesi entranti nella zona dell’euro sono stati esortati ad attuare riforme economiche e a ridurre il deficit di bilancio attraverso la limitazione delle spese, non a spese della crescita dei tassi d’imponibilità.
    “Nell’eurozona, dove il livello di inflazione base gradualmente si sta abassando, e la crescita dell’economia ha ritmi lenti, è necesseario temporeggiare con l’irrigidimento della politica creditizia fino a quando la risalita economica non arrivi ad una svolta e non si consolidi. Per arrivarci bisogna aspettare alcuni trimestri. Con la situazione contraddittoria che abbiamo riguardo all’inflazione sarebbe meglio manterere i tassi percentuali al livello attuale”, spiega il rapporto dell’OCSE.
    La storia insegna che nelle situazioni in cui “il maglione si ritrasforma in un mucchio di lana”, la Polonia è una delle prime a farne uno nuovo. Negli anni ’40, con il governo in esilio a Londra, i polacchi, sotto la guida del generale Vladislav Sikorskij presero l’iniziativa di preparare dei piani per la fondazione di una federazione postbellica degli Stati europei. I progressi maggiori vennero raggiunti nelle trattative con i cechi, ma anche belgi, olandesi e greci vi presero parte. Ovviamente quando l’Armata sovietica cominciò ad avvicinarsi ai confini dell’Europa Centrale l’iniziativa perse slancio e infine venne abbandonata. Comunque ciò sta a dimostrare come, nell’infuriare della Guerra, i polacchi pensassero che alla fine della guerra non sarebbero stati al sicuro che all’interno di una federazione di Paesi europei. Questo vale anche per la presente situazione, dopo la fine della “Guerra fredda” in Europa.

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