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Numero 2(47)
Minacce a radio “Svoboda”

    L’aiutante del presidente Serghej Yastrzhembskij ha con delicatezza avvertito “Radio Liberty” finanziata dal congresso americano che può essere privata della licenza di funzionare in Russia se mette in pratica il suo proposito di fare trasmissioni in lingua avara, cerkessa e cecena.
    Dopo un lungo silenzio l’aiutante del presidente Serghej Yastrzhembskij si è pronunciato a proposito di “Radio Liberty”. La ragione: fra poco la famigerata “Liberty” si propone di fare trasmissioni per la regione del Caucaso del Nord. Anche in lingua cecena.
    L’assistente di Putin per la Cecenia e per la politica di informazione ha minacciato, in una forma severa ma delicata, di far chiudere l’ufficio della radio a Mosca. Non subito ma “a fatto compiuto: considerando il contenuto delle trasmissioni, il tono, la scelta dei news maker, la frequenza di apparizione in onda di persone che si trovano nell’elenco dei ricercati dall’Interpol e dei sospetti di reati commessi in Russia”. Qualora il tono e la frequenza (di apparizione) risultassero fuori della scala stabilita recentemente dalla censura, il Ministero della stampa può togliere a “Radio Liberty” la licenza insieme alla confortevole palazzina in vicolo Staropimenovskij. Per legge.
    Quello che non suscita dubbi in assoluto, sono le attività di Mikhail Lessin. Il loro adeguamento allo spirito e alla lettera della legge russa. Non appena gli sarà ordinato, il ministro manderà alla completa rovina il Congresso americano. Di questo non c’è da preoccuparsi. Il problema è altrove: quale danno, dal punto di vista dell’inveterato propagandista Yastrzhembskij, possono recare al nostro Stato i giornalisti di lingue caucasiche di “Radio Liberty”? Quale pericolo per la patria comportano queste trasmissioni se le trasmissioni in lingua russa sono ancora tollerate dal Cremlino, mentre nella stessa Cecenia, per stare alle parole dello stesso Yastrzhembskij, i comandanti in campo, parlando anche su ricetrasmittenti portatili, usano lo stesso russo con una lieve aggiunta di gergo dei funzionari della Ceka?
    C’è da dire anche questo: nella panoplia dei radiosabotatori americani incalliti non c’è nulla che possa influire sugli umori degli abitanti di Cecenia, Daghestan, Inguscetia e in genere di tutto il Cacaso del Nord. In modo particolare questo è vero nei confronti dei ceceni. Sul piano della propaganda della guerriglia e della russofobia immediata, un qualsiasi combattente dell’OMON di Buriatia avrà cento punti di vantaggio su tutti gli osservatori della “Liberty”. Perché il commentatore se ne sta lontano, e poi le radio, sembra, non ci sono in ogni villaggio, mentre i federali sono presenti quasi dappertutto, mascherati, con il mitra, col parlare un russo irripetibile e sempre in diretta. La Liberty Live di Patruscev, Gryzlov, Ivanov arriva in questi posti quasi tutti i giorni, e non c’è da preoccuparsi se in questa assai chiassosa situazione i pacifici ceceni troveranno tempo e luogo per cercare la verità sulle onde corte... Che però è chiara agli occhi di tutti. Un Kalashnikov è più convincente della “Liberty”.
    E’ anche poco probabile che al Cremlino si sia sul serio preoccupati se alla “Liberty” cecena parleranno ogni ora Bassaev, Udugov, bin Laden e anche Khattab. In primo luogo la popolazione di Ichkeria martoriata dalla guerra conserva sentimenti abbastanza complessi nei confronti dei suoi eroi. Sembra che ci si sia mortalmente stancati degli eroi perché dopo i guerriglieri, come la saggezza popolare insegna, arrivano sempre le truppe federali. In secondo luogo, e questo è il più importante, i giornalisti della “Liberty” non vanno scambiati per “pazzi” simili a Mikhail Leontiev. Lo stile della “Liberty” non sopporta un brutto modo di fare e , a maggior ragione, un brutto lavaggio del cervello. Circa gli argomenti le trasmissioni cecene saranno poco diverse da quelle russe: informazione, cronaca, diritti umani. La “Liberty” non fa interventi chirurgici con l’accetta.
    Questo induce a cercare altre ragioni dell’attività propagandistica dell’aiutante presidenziale, e a ricordare il maggio scorso, in cui le voci sulla chiusura dell’ufficio di Mosca della “Liberty” erano diventate talmente persistenti che il Sunday Times britannico, spinto evidentemente da Mosca, le ha presentate come notizie fresche per l’indomani. I tempi erano diversi, ma simili da un punto di vista: segnatamente i rapporti russo-americani peggioravano in modo evidente e progressivo.
    In quel periodo il Cremlino era molto dispiaciuto per l’abbandono da parte americana, preannunciato da Bush junior, dell’accordo antimissile. La Casa bianca non faceva segreto del suo atteggiamento nei confronti dello smantellamento della NTV, della guerra cecena e del soffocamento delle libertà come stile di marca del giovane presidente russo. Da quel momento è passata tanta acqua, e tanto sangue; è scoppiato l’11 settembre; Putin e Bush sono diventati amici proclamandosi reciprocamente alleati; l’accordo antimissile è passato alla storia lasciando ad entrambe le parti discussioni fiacche sui missili: vanno immagazzinati o distrutti. Ma, dopo aver fatto un giro veloce, la ruota della storia è tornata ancora dalla parte di prima. Nel mondo fa di nuovo più freddo.
    A Washington ci si è ricordati della Cecenia invitando il ministro degli esteri ichkeriano Ilias Akhmadov. Il Pentagono si è stabilito seriamente e per lungo tempo nelle repubbliche sovietiche sorelle dell’Asia Centrale. La liquidazione della TV-6 ha provocato una reazione alquanto rigida da parte della Casa bianca. Mosca ha usato il linguaggio delle ramanzine. Il loro stile è vecchio – si tratta di “doppi standard” e “yankee, go home” dalle nostre basi tagiche, ma la situazione è più sgradevole di un anno fa. A quel tempo Putin smaltiva ammassi xenofobi rimasti dall’epoca del tardo Eltsin. Allora, ripulendo il paese dalla democrazia, aveva un pretesto di scorta ad uso estero: fine della guerra fredda, viaggi europei e arruolamento dell’ingenuo presidente americano. Oggi, dopo che tutte le concessioni sono fatte ma l’isolamento politico della Russia non è ancora superato, è tempo di ricordarsi della “Liberty”. Far prova di severità, tirar fuori i pugni di tasca, minacciare. L’argomento è riposante, non tocca seri problemi di politica estera, e non è poi tanto importante per gli americani. Mettiamo che Lessin chiuda l’ufficio di Mosca: ce ne rimarrà una marea di altri, e a Praga non si entra più sui carri armati, l’epoca è cambiata... Neanche il funzionario di second’ordine Yastrzhembskij che si è pronunciato su questo argomento, desta particolari preoccupazioni. Ma la minaccia si è trovata un’espressione, la scontentezza è dichiarata, viene mostrato il pugno: pensateci, signori, se vale la pena ricordare così spesso alla Casa Bianca la Cecenia o la TV-6. Scambiamo l’ufficio di Mosca contro la vostra reticenza. Un cambio vantaggioso, accettate.
Ilia Milstein
@ www.grani.ru

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