Numero 2(47)
Errori e indifferenza
Gli eventi intorno alla TV-6 hanno suscitato nella società la discussione sul vecchio argomento: se siamo testimoni
della lotta fra il potere e i giornalisti del pensiero libero, alla quale seguirà anche la chiusura dei giornali e delle
riviste liberali, o semplicemente un gruppo di oligarchi non riesce di nuovo a dividere qualcosa (in questo caso, un canale
di informazioni televisive) con un altro gruppo.
Questa domanda è diventata ormai retorica, e non è possibile rispondervi in modo inequivocabile. Nella Russia di oggi c’è
un po’ di tutto: il potere non vuole far conoscere al pubblico il dessous delle sue azioni (ma nessuno lo vuole mai). Ciò
è dovuto in parte al fatto che la comparsa di Putin al potere da molti finora è stata ritenuta non del tutto legittima, e
i ricordi sistematici di ciò non possono non far arrabbiare, soprattutto se vengono da Boris Berezovskij. Inoltre, mentre
prima in Russia la ridistribuzione della proprietà avveniva a livello di diversi gruppi finanziario-industriali, ora si tratta
di aziende pubbliche, come il Gazprom. Il tema della ridistribuzione della proprietà è pertanto legato direttamente ai nomi
dei funzionari del governo e dei rappresentanti dello Stato. D’altra parte, i mass media rappresentano una risorsa assai più
preziosa rispetto al petrolio o al gas, cosicché non è sorprendente che si svolga una lotta per controllarla. Se il cambio
dei manager con l’uso della forza avviene nelle aziende come la “Kristall” o la “Mosenergo”, dal punto di vista del business
la televisione è poco diversa da esse. Certamente, una differenza fondamentale è legata ai diritti dei consumatori, e la
questione, quindi, potrebbe essere questa: come mai la reazione della società è così fiacca?
La chiusura della TV-6 significa innanzitutto la perdita della televisione professionale. Il bello, tutto sommato, non sta solo
nel fatto che quest’équipe ha criticato apertamente il potere: ciò poteva piacere a qualcuno di più, a qualcun altro di meno.
Come tutti potevano vedere, anche la NTV è capace di organizzare un dialogo in diretta con Boris Berezovskij che si trova a
Londra. Ma lo scopo principale dei giornalisti è quello di fornire ai telespettatori il più presto possibile le informazioni
più fresche: ed è qui che i colleghi di Evghenij Kisselev erano forse più bravi di tutti. Proprio la NTV di Gussinskij e,
dopo, la TV-6 di Berezovskij hanno mandato in onda i reportage speciali nel momento della tragedia del sottomarino “Kursk”,
o dopo gli atti terroristici negli USA, e non è mica detto che in futuro la reazione di altri canali ad eventi nazionali o
mondiali sia altrettanto operativa. Il desiderio e la possibilità di reagire rapidamente ad eventi non possono essere
attribuiti semplicemente alla censura: solo i professionisti possono assumersi il coraggio di “rendere” importante una notizia,
cosicché se alla televisione non ci saranno più i professionisti, non ci saranno le notizie in pieno senso della parola.
A partire dal momento in cui la minaccia della chiusura si è messa ad incombere sulla NTV, si è detto già più volte che,
oltre ai telespettatori, perderanno qualcosa d’importante, in fin dei conti, anche gli altri canali televisivi, che non
avranno più un’esperienza a cui uniformarsi. In qualsiasi Paese europeo, i primi a reagire alle restrizioni operate ai
colleghi sarebbero stati gli impiegati di altri canali. In Russia la situazione è proprio contraria: mentre si lottava per
la NTV, centinaia di telespettatori avevano partecipato al relativo comizio, ma non c’era nessuna reazione simile da parte
di altri canali. Proprio questa situazione riflette la condizione della società nel Paese: non si tratta solo del fatto che
l’opinione pubblica non sia sufficientemente consolidata per difendere i propr
i diritti, ma del fatto che anche per gli impiegati della televisione la storia della TV-6 è un evento che non ha niente a
che vedere con la loro vita.
Evgenija Orlovskaja
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