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Numero 14(59)
Un anno dopo

    Un anno fa tre aerei, guidati da fanatici suicidi, sono precipitati contro le torri del Centro commerciale mondiale di New York e contro il Pentagono.
    Il quarto aereo che doveva, secondo diverse ipotesi, colpire il Capitolio o la Casa Bianca, grazie all’intervento dei suoi passeggeri, ha cambiato rotta ed è caduto in campagna. Un atto terroristico di tale portata (sono morte più di 3000 persone) ha delineato un nuovo pericolo per la civilità internazionale: il terrorismo islamico, reso particolarmente pericoloso dal fatto che ha molti sostenitori disposti a sacrificare la vita. Pareva che dopo uno stress del genere il mondo dovesse cambiare. E’ passato un anno ed è possibile fare il primo bilancio. Non è molto consolante.
    Poco dopo gli attentati sembrava che il mondo fosse veramente cambiato. Era iniziata una vera lotta alle organizzazioni terroristiche musulmane che prima stavano benissimo nei Paesi occidentali, con la copertura degli slogan sulla salvaguardia dei diritti delle minorità. La coalizione, creata in pochi giorni, che includeva praticamente tutti i Paesi importanti del mondo, aveva eliminato il regime dei talebani che volevano far tornare il mondo al Medioevo, e che proteggevano terroristi internazionali. La Russia aveva preso una parte attiva alla creazione della coalizione antiterroristica e si era unita decisamente all’Occidente.
    Ma molto presto l’unità internazionale è crollata. Ne era colpevole l’amministrazione statunitense. Il Presidente George Bush e una parte del suo entourage, stando in euforia dopo il successo afgano, hanno avuto intenzione, con il pretesto della lotta al terrorismo internazionale, di smantellare il regime di Saddam Hussein in Iraq e mettere sotto il controllo degli USA il petrolio iracheno.
    E’ vero che Saddam Hussein è un dittatore, ma per abbatterlo gli Usa vogliono usare personaggi assai strani, qualcuno dei quali ha le mani imbrattate dei fiumi di sangue.
    Gli americani, in questo modo, senza aver terminato una faccenda, s’immischiano in un’altra. Ma intanto sembra che la campagna afgana stia prendendo una brutta piega per gli americani. E’ venuto fuori che i marines e le “bombe intelligenti” non fossero sufficienti petr distruggere i focolai del terrore, e che bisogna affrontare altri anni e forse decenni di un lavoro routiniero, mirato al ripescaggio dei terroristi, all’intercettazione dei flussi finanziari e alla trasformazione delle menti della popolazione, sicura di avere nell’Occidente il nemico di tutto ciò che è islamico.
    Il mondo, del resto, non tornerà più quello di prima. L’idea che la vita sicura sia possibile per chi sta lontano dai teatri delle operazioni militari è ormai sorpassata da una psicosi fissata sulla sicurezza, e dalla rispettiva limitazione della democrazia.

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