Numero 2(66)
A caccia di Saddam e del petrolio iracheno…
Gli americani scoprono due Europe
Il desiderio dell’amministrazione Bush di punire ad ogni costo il presidente iracheno Saddam Hussein ha portato ad una crisi senza precedenti nella storia della NATO. A fine gennaio i due membri più potenti dell’Unione Europea, ovvero Francia e Germania (alle quali in un secondo momento si è unito anche il Belgio) hanno presentato un loro piano per il riassetto dell’Iraq. Il piano prevede il disarmo dell’Iraq sotto il controllo internazionale e una risoluzione pacifica della crisi. In risposta, politici e diplomatici americani si sono affrettati a dichiarare che la Francia e la Germania non rappresentano tutta l’Europa, che sono la “vecchia” Europa, che la “nuova” Europa sostiene l’America, che non è più tempo di considerare Francia e Germania come grandi potenze, e così di seguito. In effetti, i capi di molti stati, e tra loro anche di un gran numero di stati dell’ex blocco sovietico, si sono affrettati ad esprimere la più assoluta lealtà verso gli Stati Uniti e hanno espresso l’intenzione di prendere parte alle operazioni militari per il disarmo dell’Iraq, senza però tenere in considerazione l’opinione pubblica interna, contraria ad una guerra lontana e con scopi poco chiari. In definitiva, Francia, Germania e Belgio hanno posto il veto alla richiesta della Turchia che gli venisse garantita la sicurezza durante la guerra contro l’Iraq, senza la quale i turchi si rifiutano di concedere il proprio territorio agli Stati Uniti. Il segretario di stato Colin Powell ha definito “imperdonabile” la decisione dei paesi della “vecchia Europa”. Richard Pearl, ex-vice Ministro della Difesa durante l’amministrazione Reagan e attualmente un consulente del Pentagono, intervenendo ad una conferenza a New York si è lasciato andare ad una dichiarazione che non potrà che peggiorare ulteriormente i rapporti tra Francia e Stati Uniti. Il consigliere del Pentagono ha proposto che la Francia non sia più un alleato della NATO e degli Stati Uniti. Ora l’alleanza dovrà formulare una strategia per “il mantenimento dell’ex alleato”, altrimenti, dice, la NATO smetterebbe di esistere in qualità di “unione di stati accomunati dalle stesse idee”. Tony Blair, dal canto suo, irritato per le posizioni di Jacques Chirac, ha bloccato un contratto per la costruzione di due nuove portaerei per la Marina britannica da parte di un’azienda francese, per un valore stimato di 3 miliardi di sterline.
Nel frattempo l’Iraq fa concessioni. Durante i colloqui a Baghdad dell’8 e del 9 febbraio scorsi, Hans Blix e Mohammed Al Baradei, responsabilirispettivamente della Commissione ONU per l’osservazione, il controllo e l’ispezione e dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, hanno ottenuto dall’Iraq la concessione all’impiego degli aerei di ricognizione U-2 nel corso delle ispezioni e il permesso di condurre colloqui con gli scienziati iracheni senza la presenza di funzionari della polizia. Inoltre, l’Iraq ha trasmesso all’ONU alcuni documenti riguardanti la produzione di armi chimiche e biologiche.
Molto rumore per nulla
L’amministrazione Bush riponeva molte speranze nel rapporto del segretario di stato Colin Powell al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 5 febbraio scorso. Powell ha tracciato un quadro a dir poco apocalittico sull’attività del dittatore iracheno, il quale nasconderebbe armi di distruzione di massa e contatti col terrorismo internazionale. I membri del Consiglio di Sicurezza hanno preso atto delle informazioni del segretario di stato. Allo stesso tempo la maggior parte di loro ha suggerito che tali prove fossero messe a disposizione degli ispettori e che venissero analizzate accuratamente dagli stessi. Il Ministro degli Esteri russo Ivanov ha espresso l’opinione comune quando ha sottolineato che il rapporto di Powell non conteneva alcuna prova schiacciante del fatto che in Iraq vengano prodotte armi di distruzione di massa. S. Ritter, un ex-ispettore dell’ONU durante il disarmo dell’Iraq dal 1991 al 1998, ha invece definito il rapporto di Powell menzognero. Inoltre, è venuto alla luce il fatto che Abu Musab Al-Sarkavi, il palestinese che si suppone sia il braccio destro di Osama Bin Laden e il collegamento tra lui e Saddam Hussein, si nasconderebbe nel nord dell’Iraq, nei territori abitati dai separatisti curdi, che sono sotto il controllo statunitense e britannico. Più precisamente in quei luoghi, al di fuori della zona di controllo di Saddam, opera “Ansar Al-Islam” (“I partigiani dell’Islam”), un gruppo di fanatici islamici, di cui lo stesso Saddam, e questa è la cosa più divertente, esige la consegna da parte dei curdi. Solamente gli Stati Uniti e la Gran Bretagna non dubitano del fatto che l’Iraq venga meno “in modo palese” ai suoi impegni per il disarmo, secondo la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e che deve rispondere delle proprie azioni.
Anche le dichiarazioni di Blair, l’alleato più vicino a Bush, sulla produzione di ricino nel sud dell’Irak non hanno prodotto alcun effetto, come le parole dello stesso Bush sui vecchi collaboratori dei servizi segreti dell’Iraq, i quali “per lo meno 8 volte” si sono incontrati con rappresentanti di Al-Quaeda” (in definitiva, anche i vecchi collaboratori della CIA hanno avuto contatti con Bin Laden in passato).
Un asse Parigi-Berlino-Mosca?
Sullo sfondo dell’acutizzarsi nella contrapposizione tra Stati Uniti e Unione Europea, come nel 1997-1998 è riemersa la possibilità di una nuova unione tra Russia, Francia e Germania. La possibilità di una tale coalizione si è manifestata durante la visita di Putin in Francia e Germania il 9 e il 10 febbraio. Trovandosi in Germania, Putin ha dichiarato che Russia e Germania non vedono “alcun fondamento” per una risoluzione del problema iracheno attraverso l’uso della forza. Russia, Francia e Germania hanno elaborato una dichiarazione congiunta sulla situazione irachena, nella quale viene fatto un appello alla risoluzione dei problemi in Iraq con mezzi pacifici e nella quale si sottolinea che esistono alternative ad una risoluzione militare, ovvero un regime più severo delle ispezioni in Iraq.
In un’intervista alla televisione francese, il Presidente russo ha definito le azioni di forza unilaterale da parte degli Stati Uniti contro l’Iraq come “un grave errore”, e che in tale occasione la coalizione antiterroristica, creata dopo l’11 settembre 2001, si era sfaldata. Inoltre, secondo le sue parole, tali azioni potrebbero provocare la disgregazione dell’Iraq con conseguenze difficilmente prevedibili sugli stati vicini e un inasprimento della situazione generale nel mondo arabo.
Sergej Ivanov, Ministro della Difesa russo, ha ammesso la possibilità di un’adesione della Russia all’iniziativa franco-tedesca sul rafforzamento del gruppo di ispettori in Iraq.
Tuttavia, anche nel caso in cui nascesse, una tale coalizione non potrà durare a lungo, poiché provocherebbe molti contrasti con possibili alleati. Un limite al rapporto di alleanza l’ha reso palese il presidente francese Jacques Chirac, quando ha manifestato la necessità di una risoluzione politica del conflitto ceceno durante i colloqui con Putin. E’ probabile quindi che un asse Parigi-Berlino-Mosca, quand’anche fosse creato, esisterebbe solo come alleanza estemporanea, indirizzata contro l’invasione americana in Iraq.
Il futuro è la guerra?
A prima vista sembra che gli Stati Uniti abbiano fatto marcia indietro. In molti paesi prende forza il movimento pacifista. Negli stessi Stati Uniti vengono organizzate manifestazioni contro la guerra. Contro le intenzioni di Bush intervengono note organizzazioni per la difesa dei diritti umani, anche russe. Per la prima volta in 100 anni la camera alta del Parlamento australiano ha approvato un voto di sfiducia al premier John Howard per il sostegno ai piani militari degli Stati Uniti. Il premier britannico Tony Blair è stato fischiato dai suoi parlamentari.
Anche il falco Rumsfeld, Ministro della Difesa americano, ha reso noto che Washington spera sempre che si possa evitare la guerra. Tuttavia, tutti riconoscono che si tratta solo di una riverenza diplomatica. I preparativi per la guerra continuano. La Turchia, dopo lunghe contrattazioni, avendo ricevuto la promessa di un aiuto finanziario di 14 miliardi di dollari, ha dato l’autorizzazione agli Stati Uniti di usare il territorio turco per l’invasione dell’Iraq. Gli americani hanno dato inizio all’evacuazione dei propri diplomatici e cittadini dal Medio Oriente. Al pentagono è stato creato un ufficio per la ricostruzione post-bellica dell’Iraq. E’ chiaro che nella preparazione della campagna irachena sono state investite talmente tante forze (anche propagandistiche) e soldi, che la sua sospensione verrebbe percepita come una sconfitta della politica di Bush, il che non gli consentirebbe una rielezione, e la fine della possibilità da parte dei repubblicani di mantenere il potere. Alla Casa Bianca, evidentemente, preferiscono non pensare alle conseguenze che minacciano l’America nel caso di un prolungamento della guerra, nell’ipotesi di centinaia di vittime e di un’impennata del prezzo del petrolio a 80 dollari al barile, e neppure ai costi enormi dovuti all’occupazione e alla ricostruzione dell’Iraq, che gli Stati Uniti dovranno chiaramente sostenere da soli. Oltretutto, gli Stati Uniti continuano ad ignorare una situazione ben più pericolosa, quella della penisola coreana, limitandosi a dichiarazioni confuse e a dimostrazioni di forza militare anche dopo la dichiarazione del governo della Corea del Nord sulla possibilità di attacchi nucleari preventivi, come dichiarato anche dagli Stati Uniti.
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